Teatro
Compagnia Teatro del Cerchio di Parma

BARBABLU
storia di quotidiana violenza
testo e regia Mario Mascitelli
assistente alla regia Anna Lisa Cornelli
inserti poetici di Federica Salvatore e Paola Marino
col Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità, ASL Emilia-Romagna, Chiesi Foundation, Associazione Italiana Donne MedicoLorenzo Maragoni

in calendario
-
ven 03 nov ore 21:00
“Accartocciata, le gambe giunte al petto, i resti di un abito, strappato a morsi dalla furia delle bugie… l’avvolgono, come una coperta calda. Una mano, a cancellare il rimmel nero gocciolante sulle guance rosa, e l’altra sulla bocca, per impedire anche al respiro di fuggire via. Il freddo pungente della notte districa con dolore i capelli aggrovigliati, mentre le parole ingoiate, come lame d’acciaio anestetizzano l’urlo, mai pronunciato.”
In molti conoscono la terribile favola di Barbablù dei fratelli Grimm, personaggio a volte rappresentato come il diavolo stesso, che sposa giovani fanciulle, orribilmente squartate non appena osano trasgredire all’ordine di non aprire una porta del palazzo.
La morale era molto chiara per i bambini, a infrangere un divieto si può rischiare molto. Ma quando non è una favola e non sono i bambini ad aver paura, allora diventa una storia vera.
Lo spettacolo nasce dal desiderio di affrontare il dilagante e inaccettabile fenomeno della violenza domestica, per saperne di più, per offrire un’occasione di riflessione. Nella nostra ricerca abbiamo scoperto anche l’altra faccia di tale violenza, quella psicologica, che, come un tarlo, consuma anima e pensieri delle vittime che subiscono gelosie, abusi e pressioni da parte di mariti, fidanzati, compagni che pur non toccandole nemmeno con un dito, le affliggono con una violenza sottile e quotidiana. In modo esemplare Pirandello ha dato voce a tale ossessione maschile facendo dire a un suo personaggio:
NOTE DI REGIA
Ricordo che, quando ero bambino, uno dei momenti più piacevoli corrispondeva ai giorni immediatamente successivi all’influenza dove, passata la febbre, si stava a casa ancora un giorno o due “per sicurezza”. Letto matrimoniale dei genitori, latte a portata di mano con biscotti e il mio giradischi con i 45 e 74 giri delle favole. Le ascoltavo in continuazione e le mie preferite erano: “Le tre piume” e Pollicino. Su ogni disco ce n’erano incise due per lato. In una c’era anche quella di Barbablù e ricordo che una volta ascoltata mi spaventò così tanto che preferivo ogni volta saltarla. Quella traccia restò quasi intonsa rispetto alle altre ormai letteralmente “graffiate” e rumorose. In particolar modo, mi spaventò ciò che si trovava dietro quella porta da non aprire… i corpi appesi, maciullati, il sangue dappertutto, la macchia sulla chiave che non veniva via mentre lui, Barbablù, stava rientrando. Era il terrore di poter vivere una situazione come quella, essere scoperti da una prova agghiacciante e avere come punizione la morte.
Per chi ha la fortuna, come me, di far teatro, sa che non esiste mezzo migliore per affrontare le proprie paure e condividerle. Ecco allora la decisione di portare in scena questa favola “nera” ma non rivolta a un pubblico infantile bensì a quegli adulti che conoscono poco il fenomeno della violenza quotidiana e familiare che subiscono molte donne, e anche a coloro che magari la conoscono bene e vi assistono passivamente.
Grazie al Centro Antiviolenza di Parma siamo venuti a conoscenza di una situazione ben più grave di quella che i mass media, in maniera spesso superficiale, ci presenta. Abbiamo appreso così che solo il 10 % delle violenze viene trattato nei notiziari. Ben poca cosa di fronte a dati molto più allarmanti e diffusi: quasi 200 casi solo nel 2011 di cui il 78% vittime di violenza psicologica e 58% fisica spesso a opera del coniuge (42%). Qui le riflessioni sono d’obbligo ma, prima di dare spazio ai pregiudizi, è bene precisare che il 63% di queste vittime sono italiane, con un lavoro (70%) e con un grado di istruzione di scuola superiore (46%) o universitario (28%)
Basterebbero questi dati a spiegare l’urgenza di affrontare un tema così preoccupante. Ritengo da sempre il palcoscenico un mezzo efficace per dar voce a chi voce non ha, ai tanti “nessuno” che ci circondano e chiedono aiuto. Uno spazio e un luogo di riflessione e, perché no, di denuncia socialeDa questo è partito il nostro lavoro: voler raccontare con immagini, musica e testo (a volte poetico e criptico, altre volte più diretto) una storia dall’apparenza “comune”. Vorremmo fosse un’accorata raccomandazione alle donne, a quelle donne fragili che non devono mai annientare la propria esistenza in favore di Orchi con una fede al dito e un monito a tutti noi, gente comune, a restare sempre in ascolto di quei messaggi di aiuto che spesso si manifestano in maniera timorosa e velata.
Troppe volte, alcune di loro, alzano la cornetta per comporre il numero delle autorità ma poi non trovano la forza di parlare e mettono giù. Non lasciamole sole.Vorrei ringraziare i collaboratori che, con devozione e fatica, si prestano nel seguirmi condividendo questi miei progetti in pieno stile di quello che il Teatro del Cerchio per noi rappresenta: un luogo d’incontro dove dare spazio a discussioni, cultura, bisogno di civiltà e di socialità.
“Si capisce subito, fin dalle prime battute, che la favola, come noi tutti la conosciamo, è, e rimarrà, solo un ricordo d’infanzia, nulla a che vedere con ciò che verrà di lì a poco rappresentato: una donna sola, vittima di una violenza fisica e poi psicologica. Ma prima di tutto è una donna vittima dei suoi stessi sogni, infranti dall’incontro con un uomo che si rivelerà un Orco.”
Recensione Gazzetta di Parma di Francesca Ferrari
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